sabato 9 febbraio 2008

Così sta scritto…


Tra i colloqui più vivaci ed interessanti della mia vita, vi sono certamente quelli in cui l’argomento della discussione è stato proprio il vangelo. In credenti e non credenti, praticanti e non praticanti, vi è un interesse trasversale, un forte bisogno di capire e essere capiti senza sentirsi giudicati. Appena si supera il tabù sul confronto sulla propria esperienza religiosa, emergono innumerevoli idee, versioni diverse di cosa Gesù intendeva dire o fare. Ci si vergogna un po’ a parlare di Gesù, ma una volta superata la paura si scopre che ognuno ha già elaborato dentro di sé le sue idee, ci ha lavorato non senza fatica ed è arrivato alle sue conclusioni. Questi confronti mi hanno insegnato che prima di parlare di un singolo brano bisogna chiarire cosa è il vangelo, come noi lo intendiamo, cosa ci aspettiamo da esso.
Mi hanno insegnato però anche un’altra cosa: le cose più belle emergono non dall’esegesi, non da eccessi di erudizione, né da teologie sociali o psicologiche o chissà cos’altro ancora. Il meglio viene fuori quando le persone confrontano il vangelo con la propria vita, che è sempre diversa: da soggetto a soggetto, e da un periodo all’altro. Qualcuno storcerà il naso pensando già una simile impostazione trova le proprie radici nell’Esistenzialismo , una corrente filosofica vista come il fumo negli occhi dalla teologia ufficiale.

nota: L’Esistenzialismo si afferma in Europa dopo la seconda guerra mondiale e si sviluppa fino ad oltre la seconda. “E’ un’epoca di crisi, della crisi di quell’ottimismo romantico che per tutto l’Ottocento ed il primo decennio del Novecento “garantiva”, in nome della Ragione, dell’Assoluto, dell’Idea o dell’Umanità, in senso della storia, fondava valori stabili e assicurava un progresso sicuro ed inarrestabile. L’Idealismo, il Positivismo ed il Marxismo, sono tutte filosofie ottimistiche che presumono di aver colto il principio della realtà e l’assoluto senso progressivo della storia. L’Esistenzialismo invece considera l’uomo come un essere finito, gettato nel mondo, continuamente lacerato in situazioni problematiche o assurde. Ed è proprio dell’uomo, dell’uomo nella sua singolarità che l’Esistenzialismo si interessa (…) L’esistenza umana non può e non deve venir dedotta a priori; essa piuttosto và scrupolosamente descritta così come essa si manifesta nelle svariate forme della effettiva esperienza umana”. G. Reale e D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, vol. 3, Editrice La Scuola.

In realtà vi attingo solo in parte, in quanto credo che il vangelo, in quanto realtà che narra fatti accaduti ad un singolo uomo vissuto duemila anni fa, debba insieme tenere conto di elementi soggettivi – la mia interpretazione, la mia scelta, la mia esistenza – ed elementi oggettivi – la verità storica nascosta e svelata dai vangeli.

Alcune domande per cominciare
Preso in mano il testo sacro mi sono fatto alcune domande, per onestà con me stesso e verso quel Dio che nella fede ritengo abbia qualcosa da dirmi attraverso quelle pagine. Domande di fondo, fatte ancor prima di leggere la prima riga, ancor prima di sfogliare il testo.
Cos’è questo libro che tengo in mano? O meglio: cosa leggo quando leggo il vangelo? Un testo “dettato” da Dio? Un testo storico? Un testo mitico? Un testo integro, cioè mai rimaneggiato dopo la sua prima stesura? E in che relazione sta la Chiesa con la Sacra Scrittura?
E’ importante farsi queste domande, perché che lo vogliamo o no siamo figli del nostro tempo e ci portiamo dentro una premesse e pregiudizi che operano indisturbati quanto meno li conosciamo. Una lettura ingenua e non informata può rivelarsi addirittura pericolosa .
nota: Dice giustamente Alberto Maggi nel titolo di un suo recente libro: ”Come leggere il vangelo e non perdere la fede” Cittadella Editrice. L’autore spiega il senso di una simile provocazione nell’introduzione “Quanti si avvicinano ai vangeli lamentano che spesso la lettura di questi testi non solo non suscita la fede, ma rischia di metterla in crisi; ciò non solo per l’evidente difficoltà di vivere un insegnamento che richiede maturità ed impegno, ma perché le formulazioni presenti in questi testi sono spesso una sfida al buon senso. (…) fin dalle prime righe si ha la sensazione di trovarsi alle prese con un libro di favole o di racconti mitologici. (…) Problemi che dipendono in parte dal fatto che il lettore si trova di fronte ad una traduzione di un testo trasmesso duemila anni fa in una lingua ormai defunta, e con immagini scaturite da una cultura orientale molto differente da quella occidentale.”Queste prime domande anziché risposte, me ne suscitano altre più intime e “soggettive”.
Perché io, oggi, leggo il vangelo? Cosa mi spinge? E’ forse dovere religioso? Devo trovare risposte ai miei problemi personali?
Si può essere in un momento di confusione e cercare chiarezze che rispondano ad hoc alla nostra situazione. Si può essere di fronte ad una sfida culturale, come ad esempio l’emancipazione delle donne, l’avvicinarsi di un conflitto, ma anche questioni etiche, come quella della clonazione, l’eutanasia, l’aborto, l’inseminazione artificiale, il divorzio, la pena di morte… e ogni volta è forte la tentazione di andare a cercare nei vangeli situazioni analoghe per vedere cosa avrebbe risposto Gesù.
Bene: non è questo il loro scopo, non è in questo senso che essi sono Parola di Dio, anzi è proprio così facendo che ai vangeli si può far dire tutto ed il contrario di tutto. Dal “perché” leggo i vangeli, dipende cosa ne verrà fuori. Per questo, bisogna lavorare molto sulle motivazioni che portano alla lettura fino ad arrivare a capire se nei vangeli cerchiamo davvero “il vangelo” o qualcos’altro.
Occorre sapere che non si tratta di libri di psicologia, magari “sacra”, e non contengono di conseguenza risposte psicologiche, né sociologiche, né filosofiche. Non sono un trattato di politica, né un compendio di morale, o una favola per bambini. Non sono neppure libri di storia così come la intendiamo noi oggi. Il vangelo “non è” un sacco di cose! E’ piuttosto l’invito a credere ad un fatto, avere fede in una persona realmente esistita, ma di cui sappiamo ben pochi particolari. E’ solo questo, e se vi cercheremo “solo” questo, vi troveremo anche molto altro .

Vangelo e vangeli
Vorrei cominciare ora sottolineando la differenza già accennata, tra vangelo e vangeli.
Per “vangelo” si intende Gesù stesso, la “buona novella” detta al mondo dal Padre Celeste, mentre con “vangeli” si intendono i quattro opuscoli narranti la vita di Gesù, che la tradizione cattolica ha considerato dagli inizi come testi ispirati e canonici.
Questa distinzione è fondamentale perché se da una parte noi abbiamo tra le mani i vangeli, non và dimenticato che l’obiettivo della nostra ricerca non sono loro, ma il vangelo che essi contengono . Essi, riprendendo una parabola evangelica, sono come un campo nel quale è nascosto un tesoro prezioso (Mt. 13,44). Non si tratta di andare alla scoperta dell’io di Gesù, dei suoi sentimenti, delle parole che ha veramente detto, delle sue gioie e dei suoi dolori come tanti film e libri hanno tentato di fare: non abbiamo gli strumenti per farlo e forse non li abbiamo proprio perché non è questo che dobbiamo fare. Si tratta invece di incontrare il nucleo del Cristianesimo, andare al di là della lettera e cogliere la nostra personale esperienza di incontro con il risorto .
“Vangelo” è detto al singolare, perché Uno è il personaggio narrato, anche se le prospettive dei “vangeli” sono quattro, e a nessuna di esse posso rinunciare.
Non sono quattro storie diverse, ma una stessa storia raccontata secondo quattro punti di vista. Non a caso la tradizione cattolica ce li ha tramandati come il vangelo “secondo” Matteo, “secondo” Marco, ecc… proprio per sottolineare già dal titolo che il vangelo in realtà è uno, ed è altrove, non può essere racchiuso in poche pagine di carta. Inevitabilmente chi ce ne parla comunica le cose viste secondo lui o al limite secondo la comunità che egli rappresenta.
Il Cristianesimo non è l’ennesima religione del Libro. Il libro, anzi i libri, sono un mezzo, certamente sacro, ma non così sacro da porlo al di sopra della sacralità dell’uomo, perché Dio, per così dire, non si è affatto incartato nella carta, ma si è incarnato nella nostra carne.
Lo stesso Nuovo Testamento, nelle lettere paoline, ci mette in guardia dall’idolatria del “libro” che uccide lo Spirito che vi sta dietro .

Un lavoro di comunità
I vangeli a noi appaiono come testi completi, con un inizio, una fine ed un proprio senso logico interno; situati all’inizio del Nuovo Testamento seguendo un ordine ben preciso, intitolati con il nome dello stesso evangelista. Ebbene, questi testi non nascono con la sequenza interna che vediamo oggi - prima furono scritti i “finali” sulla morte e resurrezione, e poi tutto il resto -, non sono inseriti nel Nuovo Testamento secondo un ordine cronologico o di importanza, e soprattutto ognuno di essi non è il frutto del lavoro di una singola persona.
L’evangelista è infatti il redattore finale di una serie di scritti, detti, tradizioni orali, ricordi pervenuti da sé e da altri. Immagino ogni evangelista davanti ad un tavolo pieno di pezzetti di papiro, con tante frasi, episodi che si sommano a quelli che tornano alla memoria dell’evangelista stesso. Un tavolo pieno di confusione, di spunti sparsi, senza un inizio ed una fine, e due occhi che guardano il tutto pensando: “ma con tutto questo cosa voglio dire?” Egli, il redattore, infatti, utilizza e assembla tutto questo materiale secondo un progetto, un’idea portante. Inoltre lega il suo nome all’opera, non tanto per dire che l’ha scritta per intero lui, ma per dare autorevolezza al testo, per dire “questo testo è la versione dei fatti approvata, rivista, vissuta, approvata da …Matteo, Marco, Luca, Giovanni”.
Spesso quindi vediamo utilizzare brani uguali o molto simili, in vangeli che però mirano a trasmettere contenuti teologici differenti. Diventa chiaro allora che non si può estrapolare una frase senza sapere perché l’evangelista l’ha inserita in quel punto.
Allo stesso tempo troviamo anche passi uguali, copiati da un vangelo all’altro, con qualche aggiunta . La cosa non deve scandalizzarci nè chiuderci nel dilemma: chi dei due dice la verità? Perché le prime comunità non erano schiave del Libro, e lo trasformavano e attualizzavano a seconda dei bisogni della propria comunità. Per questo abbiamo più di un racconto; per questo abbiamo contraddizioni tra un vangelo e l’altro. E per questo, soprattutto, oggi è importante come allora, non fossilizzarci su una frase, ma cogliere lo Spirito della Scrittura.
Non dobbiamo dimenticare neppure che quella che chiamiamo “Parola di Dio” porta in sé paradossalmente, tracce di errori e lacune molto umane. Basti pensare ai passaggi linguistici che stanno dietro quei racconti. Molti testi sono passati dall’originale forma ebraica o aramaica al greco, lingue tra loro molto diverse e non sempre capaci di tradurre l’una i concetti dell’altra. A sua volta i testi greci sono stati tradotti in latino da s. Girolamo, quando è tramontata la civiltà greca. Libri scritti a mano, ricopiati più volte nel corso dei primi secoli per supplire all’inevitabile usura alla quale sono andate incontro le copie originali.
Vi è poi il problema della distanza culturale, per cui non è sufficiente tradurre bene quei testi, ma anche capire il loro senso senza fermarsi al significato letterale, “traducendo” per così dire concetti per noi distanti ed insignificanti, in termini che rimandano alla nostra esperienza quotidiana .

nota: Il linguaggio ecclesiastico è avvertito come privo di senso nella misura in cui non contiene alcun riferimento percettibile alle esperienze reali vissute nel mondo. (…) La crisi dell’uso del linguaggio ecclesiastico e dei simboli della fede, nella liturgia, nella catechesi e nella teologia, pone poi in evidenza il fatto che, per i fedeli, questo linguaggio non è più sperimentato come qualcosa che rispecchi il loro rapporto significativo moderno con la realtà. Così, per esempio, parole come redenzione, giustificazione, risurrezione e riconciliazione hanno perduto il loro senso per molti, perché in questi concetti chiave i fedeli non vedono alcun riferimento alla propria esperienza. (…) Il difetto si trova, forse, più in colui che parla teologicamente, che non nell’ascoltatore che vive una determinata esperienza” E. Schillebeeckx, Intelligenza della fede, Edizioni Paoline, Alba 1976. pagine 38-39.

I vangeli portano con sé preoccupazioni e domande che non sono esattamente le nostre di oggi, ma risentono del clima culturale in cui furono elaborati.
Prendiamo ad esempio le perplessità che inducono nel lettore moderno i racconti di miracoli e guarigioni: la nostra domanda è inevitabilmente “ma è successo davvero?” Dobbiamo sapere che una tale preoccupazione non tocca minimamente gli autori ed i lettori del I secolo. Per loro non si discutono i miracoli di Gesù, piuttosto si chiedono contrariamente da quanto facciamo noi se tali poteri ultraterreni provengono da Dio o da Satana: una questione che per noi non esiste.
Un altro esempio ci è dato nel confronto tra il nostro rapporto con le istituzioni di potere, ed il rapporto che invece aveva un cittadino ai tempi di Gesù. Oggi si può essere di destra o di sinistra senza che ciò comporti conseguenze sulla nostra vita quotidiana. Io posso esprimere il mio disappunto per chi governa il paese, senza timore di ritorsioni. Al tempo di Gesù non era così. Parlare male dei capi era pericoloso, si rischiava la pelle, e seguire uno come Gesù che parlava male di scribi e farisei era altrettanto pericoloso. Questo ha portato a scrivere in un certo modo, con una certa attenzione al rapporto con l’Impero.
Un terzo esempio può esprimere invece la distanza filosofica tra noi ed i vangeli. Mi riferisco al concetto di “verità”, senza il quale non si possono comprendere i vangeli, in particolare quello di Giovanni. Non sempre si fa attenzione al fatto che la verità per noi è una cosa, per gli evangelisti un'altra. Per noi “vero” è qualcosa di logico, non contraddittorio; vera è una affermazione di cui possiamo controllare l'esattezza. Nei vangeli non è così. La verità non è un concetto, non un'idea, ma una forza che aiuta a vivere, a cavarsela. Il Dio di Israele è “vero” perchè più forte degli altri dèi. La verità è una forza che agisce, più che un dato teorico verificabile. Non ci si può appropriare della verità. Sapere questo è fondamentale per partire con il piede giusto.

Ispirazione
La chiesa ha camminato tanto nell’interpretazione dei suoi testi fondanti. Fino al 1700 circa i vangeli sono stati intesi alla lettera. Si è passati dall’idea di un Dio che “detta” le sue parole agli autori sacri, a quella del “suggerimento”. Quando è nato il metodo scientifico applicato ai testi storici la Chiesa inizialmente ha opposto resistenza, poi si è aperta all’esegesi scientifica con l’Enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, arrivando addirittura a raccomandarla nei seminari. Infine il Concilio Vaticano II nella costituzione Dei Verbum riprendendo la svolta operata negli anni ‘40, ne ha rimarcato la centralità e la necessità dello studio con le migliori tecniche d’indagine moderne.
I vangeli mostrano e nascondono. Mostrano, perché quasi tutto ciò che sappiamo su Gesù è al loro interno. Nascondono, perché sono tante le cose che non dicono, quelle che sottovalutano o enfatizzano a seconda della loro specifica preoccupazione . Giovanni conclude il suo vangelo proprio con queste parole: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Giovanni 21,25).
Tutto ciò non ci scandalizza, perché fa parte di una logica coerente dello Spirito di Dio, il quale usa strumenti limitati, deteriorabili, non necessariamente i migliori, per comunicare Sé stesso all’umanità. E’ la logica dell’incarnazione, ed è la stessa logica che rende sensata l’appartenenza alla chiesa cattolica a distanza di 2000 anni dall’evento Gesù.
Per tutti questi motivi comprendiamo che per un cattolico i vangeli vanno necessariamente letti nella Chiesa (Dei Verbum 10): e questo non è un limite, ma una ricchezza se per “Chiesa” si intende, come fa il Concilio Vaticano II, l’intero popolo di Dio (Lumen Gentium 8). Nessuno può pretendere di imporre la propria lettura personale, il significato dei testi và cercato insieme. “Insieme” significa che neppure i pastori potranno fare a meno dell’interpretazione dei fedeli, e gli uni e gli altri non rinunceranno ai commenti della Tradizione ed alle indicazioni del Magistero, e anche questo lo faranno lasciando aperte le porte a nuove interpretazioni, a nuovi significati, senza mai cadere nella presunzione di essere giunti ad un punto culmine, definitivo.

Uno strano libro di storia
Come vanno letti i vangeli? Che “genere” di lettura ci presentano? E ancor prima: cosa è un genere letterario?
Per genere letterario intendiamo un modo di scrivere che risponde a certe regole e in virtù di tali regole accomuna testi diversi tra loro. Le poesie, ad esempio, rispondono a certe regole e vengono paragonate o accomunate ad altre poesie, non certo a romanzi o a testi storici. Allo stesso tempo non si può cercare in una poesia quello che essa non vuole dare, ad esempio date, nomi di luoghi, riferimenti precisi. Anche i diari personali, i testi delle canzoni, gli SMS, sono generi letterari, e rispondono a regole condivise, tacite, le quali permettono ai destinatari di comprendere il senso del messaggio senza bisogno di tante spiegazioni. Le spiegazioni diventano invece necessarie quando ci si avvicina ad un genere letterario come quello degli evangelisti, che oltre ad essere lontano di venti secoli da noi, è anche unico: non ha cioè simili né prima, né dopo la loro pubblicazione.
Col passare degli anni i testimoni oculari di Gesù scompaiono e l’annuncio ai lontani richiede una formulazione nuova, capace di cogliere le domande dei popoli greci e latini. Da qui nasce con Marco il primo vangelo, al quale poi seguono gli altri. Il vangelo si preoccupa di narrare tutta la vita di Gesù, perché i suoi destinatari non l’hanno conosciuto e vogliono sapere cosa ha fatto, come si è comportato in situazioni critiche, cosa ha detto.
I vangeli dunque, pur muovendosi dentro una cornice storica, risentono del bisogno di fare qualcosa che non sia semplicemente un racconto storico, ma degli annunci specifici, per un destinatario particolare, diverso per ognuno dei quatto evangelisti. Fermarsi alla lettera, al “vero o falso” di ogni singolo versetto sarebbe un lavoro infinito e sterile, perché la verità che essi dicono sta nel messaggio complessivo che ne esce. Nella misura in cui lo sapremo riconoscere impareremo pure a dare la giusta importanza alle singole affermazioni per intravedere all’orizzonte sempre più chiaramente il dipanarsi della Buona Novella.

nota: “Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto, tra l’altro, anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. E’ necessario inoltre che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese di esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso.” Dei Verbum 12.
“Non è contrario alla verità di un racconto il fatto che gli evangelisti riportino le parole e le azioni del Signore in modo diverso e che esprimano le sue dichiarazioni non ad litteram, ma sempre conservando il loro significato, in modo vario” Commissione Biblica, Istruzione Sancta Mater Ecclesia, col.714


I vangeli, che ci piaccia o no, non sono stati scritti per noi. Essi passano per mille disavventure: vengono tramandati a pezzi, oralmente; vengono interpretati e scritti in modo diverso che si tratti di rivolgersi ai cristiani di Roma, o di Atene, o di Gerusalemme. Essendo scritti da esseri umani, è poi comprensibile come nei vangeli stessi, insieme al grano buono conviva un po’ di zizzania, là dove i detti tradizionali, le aspettative umane, le conoscenze di allora trovano spazio per esprimersi . Il racconto orale poi, difficilmente rispetta la verità storica intesa come cronaca degli avvenimenti: solitamente succede che i fatti più eclatanti vengono “trasformati”, mitizzati, come dice Bultmann, senza volerlo: ciò non significa che nelle nostre mani arrivino documenti falsificati, ma solo che nel cercare la verità dovremo tenere conto di tutto questo .
Ed è tenendo conto di tutto questo che ora mi appresto alla lettura di alcuni passi evangelici, alla disperata e affascinante ricerca del “vangelo”.

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