mercoledì 8 aprile 2009

La revoca delle scomuniche



(trascrizione del video)

Vorrei proporre una riflessione riguardo alla recente revoca della scomunica compiuta dal pontefice Giovanni Paolo II nei confronti dei quattro vescovi ordinati da mons. Lebfevre nell'88; revoca recente ad opera di Benedetto XVI.
I testi a cui farò riferimento sono la lettera apostolica “Ecclesia Dei” di Giovanni Paolo II, poi la revoca di tale scomunica operata recentemente, il 21 gennaio 2009 da Benedetto XVI ed infine la lettera, sempre dell'attuale pontefice, datata 12 marzo, in cui, in seguito alle reazioni che ci sono state dentro e fuori la chiesa spiega perchè è arrivato a questa decisione.

La scomunica
Cominciamo con la Ecclesia Dei pubblicata il 2 luglio 1988, due giorni dopo l'ordinazione dei quattro vescovi da parte di Lebfevre, definita dal Vaticano valida, ma illecita. Il pontefice motiva la scomunica dicendo che in sé stessa tale ordinazione è “un atto di disobbedienza al romano pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della chiesa, quale è l'ordinazione dei vescovi”. Questa ordinazione “porta con sé un rifiuto pratico del primato romano” e “costituisce un atto scismatico”. Sempre nella stessa lettera il papa invita tutta la chiesa a non sostenere in alcun modo il movimento che fa riferimento a Lebfevre e anzi istituisce una commissione che ha proprio lo scopo di aiutare tutte le persone indecise, a metà strada tra il movimento di Lebfevre e l'obbedienza a Roma. La creazione di questa commissione è un segnale importante perchè in sé stessa ci indica che il Vaticano intende dialogare con il mondo dei lebfevriani, ma non con Lebfevre ed i quattro neo ordinati. Loro sono scomunicati, con la loro ordinazione hanno compiuto un atto scismatico, mentre il mondo dei loro “simpatizzanti” è un mondo ancora recuperabile.
Io nell'88 avevo 22 anni e mi ricordo che il Vaticano spiegò fino alla noia come questa scomunica non dipendesse da loro, come la scomunica fosse avvenuta in modo automatico nel momento stesso in cui Lebfevre aveva proceduto a quella ordinazione episcopale senza permesso. Nel momento in cui uno disobbedisce alle regole di una società si mette da solo fuori da essa, e questo stava facendo il vescovo francese già sospeso a divinis nel '76 per ordinazioni sacerdotali altrettanto illecite.

La revoca
Questo tipo di spiegazione mi torna alla mente soprattutto ora che leggo il secondo documento che vado a presentare, appunto il decreto di revoca della scomunica. In questo documento si dice testualmente “sua Santità Benedetto XVI paternamente sensibile al disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica... ha deciso di riconsiderare la situazione canonica dei vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta sorta con la loro consacrazione episcopale”. Più sotto viene detto che “Questo dono di pace … vuol essere anche un segno per promuovere l'unità nella carità della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione”.
Ecco, qui io faccio un po' fatica a mettere insieme questi due documenti. Nel primo sembra che la scomunica sia una sanzione automatica, che avviene per un atto di disobbedienza. Da ciò deduco che potrà venire sanato solo da un relativo atto di obbedienza. Se io disobbedisco e mi metto fuori, solo nel momento in cui chiedo scusa posso sperare di fare ritorno, invece nel decreto di revoca vediamo che il papa successivo a quello che aveva decretato la scomunica decide che quell'atto scismatico non merita il proseguimento di tale sanzione e ben più utile ora è tentare la via dell' “unità nella carità” cercando una conciliazione basata sul perdono.
Non si può non notare alcuni nodi problematici. I quattro vescovi in vent'anni non hanno mai chiesto perdono di nulla e anzi hanno confermato le loro posizioni originarie in piena polemica con alcuni documenti del Concilio Vaticano II e con tutti i papi successivi a Pio XII. Benedetto XVI adotta la via del perdono facendo indirettamente passare per “cattivo” Giovanni Paolo II che invece a suo tempo le provò veramente tutte e appunto giustificò quella scomunica come una cosa decisa in ultima istanza dallo stesso Lebfevre. Lo “scandalo della divisione” investe la chiesa da ormai un millennio: ben più grave infatti è la divisione con ortodossi e protestanti verso i quali il Concilio aveva chiesto passi di avvicinamento. L'avvicinamento invece sembra più urgente verso chi l'ecumenismo lo vede come la sabbia negli occhi. Comunque.

La spiegazione
Passiamo al terzo documento e cioè alla lettera di Benedetto XVI di chiarimento riguardo la remissione della scomunica, datata 12 marzo, motivata dalla grande risonanza di tale revoca di scomunica, in particolare in seguito alla notizia che uno dei quattro vescovi lebfevriani, mons. Williamson, aveva poco prima rilasciato dichiarazioni negazioniste riguardo l'olocausto degli ebrei. Nei motivi che Benedetto XVI porta per spiegare il suo gesto vi è la constatazione che “a vent'anni dalle ordinazioni questo obbiettivo (richiamarli all'ordine) purtroppo non è stato raggiunto”. Aggiunge “la remissione della scomunica ha lo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro vescovi ancora una volta al ritorno”. In altre parole, prima li abbiamo scomunicati per vedere se questa esclusione dalla chiesa li avrebbe aiutati a ravvedersi e adesso li riammettiamo alla comunione della chiesa con una decisione unilaterale, senza che questi quattro abbiano fatto niente per meritare la riammissione, con lo stesso scopo per cui prima li avevamo scomunicati, cioè cercare una strada per ricomporre l'unità. Andando avanti incontriamo affermazioni ancor più sorprendenti: “dobbiamo avere a cuore l'unità dei credenti... la loro discordia infatti, la loro contrapposizione interna, mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio”.
Io avverto qui un tono diverso da quello usato da Giovanni Paolo II vent'anni prima. Prima si sosteneva che con l'atto dell'ordinazione i vescovi si mettevano praticamente fuori da soli, qui invece si tira in ballo la “cura per l'unità dei credenti”, la cura per la credibilità della chiesa più che della soluzione formale di alcune questioni interne. Non è finita qua, infatti più avanti dice “pensiamo ad esempio ai 491 sacerdoti (tanti sono attualmente i preti lebfevriani) non possiamo conoscere l'intreccio delle loro motivazioni, penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se ACCANTO A DIVERSI ELEMENTI DISTORTI E MALATI non ci fosse stato l'amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente”. Quel “accanto a diversi elementi distorti e malati” è nuovo nel linguaggio del magistero che mostra un'apertura e una capacità di soprassedere agli errori insperata. Non è più possibile buttare il bambino con l'acqua sporca.

A me piace molto questo modo di ragionare di papa Benedetto, però vorrei che fosse coerente nell'usarlo non soltanto verso i vescovi lebfevriani ma anche verso tutte quelle realtà che invece al momento continuano ad essere piuttosto castigate dalle autorità della chiesa cattolica.
Immaginiamo che cosa succederebbe se questo stesso criterio venisse usato per interpretare le proibizioni elencate nella Humanae Vitae. Dai rapporti prematrimoniali ai metodi contraccettivi come il preservativo. Un mondo in cui sicuramente molti cattolici faticano a seguire i divieti calati dall'alto, ma non per questo non vivono l'amore con spirito autenticamente cristiano. Pensiamo alla pastorale per i divorziati risposati e al relativo divieto di accostarsi all'eucarestia, pensiamo a tutti quei teologi che negli ultimi trent'anni sono stati colpiti da sospensione a divinis, interdizione, divieto di insegnamento in scuole cattoliche per aver provato a dire cose un po' nuove, un po' azzardate, al limite dell'ortodossia, che comunque hanno il pregio di aprire una discussione, un approfondimento, domande nuove. Pensiamo se questo tipo di lungimiranza, benevolenza, compassione... fosse stata usata nei confronti di Piergiorgio Welby, o verso il padre di Eluana, e ancora, perchè non usare lo stesso metro di giudizio nei confronti di mons. Milingo, del quale io non sono affatto un sostenitore, ma che nel 2006, quindi in tempi recenti, è stato colpito da scomunica latae sententiae allo stesso modo di Lebfevre per aver ordinato dei vescovi in modo illecito, senza il permesso di roma. Nel suo caso si tratta di una battaglia all'avanguardia, per superare il celibato obbligatorio, ha infatti ordinato vescovi dei preti sposati. E' una questione che si può discutere finchè si vuole, ma nel caso di Lebfevre non siamo messi molto meglio, con un atto simile di disobbedienza al sommo pontefice, e un giudizio perlomeno polemico nei confronti del Concilio Vaticano II. L'impressione finale è sinceramente che si usino due pesi e due misure.

Vorrei concludere citando ancora una volta Benedetto XVI nella sua lettera di spiegazione della revoca, che se fosse preso sul serio a partire da chi l'ha pronunciato sarebbe un testo davvero rivoluzionario: “non dovrebbe la grande chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede?... Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura?” Io penso che queste parole ci possano condurre a fare un passo in avanti importante. Spero che non siano parole di circostanza, come invece purtroppo mi sembra di comprendere, usate soltanto nel caso dei lebfevriani.